Pierpaolo Mittica
Chernobyl, storie da una catastrofe
Esistono nomi propri di luoghi i quali, a causa degli eventi che vi sono accaduti, risultano essere incredibilmente evocativi. Chernobyl è senz'altro uno di questi.
Una storia, quella della città Ucraina, che dagli anni '80 sarà idissolubilmente legata al disastro che coinvolse l'ormai arcinota centrale nucleare.
Negli anni molti lavori reportagistici e divulgativi sulla vicenda si sono susseguiti, così come anche il cinema (interessante l'omonima miniserie del 2019 diretta da Johan Renck) e la letteratura (Chernobyl 01:23:40 di Andrew Leatherbarrow un'ottima prima lettura sul tema) sono tornati sulla vicenda più volte, consentendoci di disporre di molte informazioni.
Ma cos'è Chernobyl oggi? Cosa ne è stato di quel mostro che ha preteso così tante vite e inferto tutto quel dolore e quel terrore? Sono domande che abbiamo scelto di fare a una delle persone più informate che ci sia capitato di conoscere.
Si tratta di Pierpaolo Mittica, fotografo e filmmaker pluripremiato e conosciuto a livello internazionale, forse uno dei fotogiornalisti che più ha sviscerato il presente intriso di passato di Chernobyl, raccontando storie incredibili di vita nella zona. Da oltre 20 anni Pierpaolo lavora con passione e una sensibilità fuori dal comune a ciò che di vivo è rimasto a Chernobyl e a ciò che di vivo è stato giocoforza costretto a tornarvi.
Ce lo racconta in questa intervista realizzata da Francesca Bolla e Flavia Todisco per noi.
CFFC - Ciao Pierpaolo, ci racconti innanzitutto quali esperienze e influenze nel tuo percorso professionale come fotografo ti hanno motivato a impegnarti in questo progetto specifico e come hai applicato le tue competenze fotografiche per dar vita a questa idea?
P.M. - Ho iniziato giovanissimo a fotografare: la mia prima macchina fotografica l’ho avuta in mano a 12 anni grazie a mio zio Alfredo Fasan, fotografo professionista. Durante una vacanza in Francia con la famiglia mi ha messo in mano una Polaroid e li è scattata la passione. Ho studiato le basi della fotografia con lui all’inizio e mi sono avvicinato alla fotografia di viaggio fino al 1994 quando durante un viaggio in Vietnam ero a Danang e sono entrato per caso in una bidonville. Li mi sono reso conto di una situazione di estrema povertà e sofferenza per queste persone ho realizzato che la fotografia poteva essere utile per raccontare la vita degli altri e non più la mia.
Poi con la fotografia sociale ho iniziato professionalmente nel 1997. Mi considero un fotoreporter che ama la vita e il nostro mondo e odia le ingiustizie. Per questo racconto storie legate al sociale a all’ambiente, cerco di dare voce a chi non ha voce e da più di 15 anni ormai mi occupo di ambiente e di disastri ambientali causati dall’uomo.
Credo infatti che l’emergenza ambientale sia la più grande problematica che deve affrontare l’umanità, abbiamo solo una terra dove vivere e la stiamo distruggendo.
Le influenze sono state tante, ma posso citare in particolar modo i grandi maestri che più hanno influito sul mio attuale approccio alla fotografia, come Walter e Naomi Rosenblum e Charles-Henri Favrod: personaggi importantissimi della fotografia mondiale che ho avuto la fortuna di conoscere e dei quali diventare profondo amico. Da loro ho potuto apprendere praticamente tutto quello che so di fotografia. E mi hanno insegnato soprattutto l’importanza di lavorare a progetti a lungo termine, perchè ti consentono di approfondire notevolmente la tematica e di creare alla fine qualcosa di veramente importante e duraturo.
CFFC - Da ormai più di 20 anni ti occupi di raccontare il nucleare e le sue conseguenze. Cosa ti ha spinto e ti spinge tutt’oggi ad investigare questa tematica?
P.M. - Innanzitutto la mia conoscenza della zona di esclusione di Chernobyl è iniziata anni fa, nel 2002, quando ho incontrato la presidente di una ONG italiana che portava i bambini di Chernobyl in Italia per le vacanze di recupero. Mi ha raccontato la situazione della contaminazione in Bielorussia (la Bielorussia è la terra più contaminata dall'incidente di Chernobyl, il 70% del suo territorio è contaminato) e la cosa mi ha colpito a tal punto da iniziare nel 2002 a documentare le conseguenze di Chernobyl. Da allora mi sono recato molte volte all'interno della zona e nei terreni contaminati intorno alla zona di esclusione.
Ho subito iniziato a lavorare sulle conseguenze di Chernobyl, già nello stesso 2002, e nel 2007 ho terminato il mio primo progetto su Chernobyl che è stato pubblicato in un libro intitolato "Chernobyl the hidden legacy" edito in 3 edizioni, una in Gran Bretagna (Trolley Books), una in Spagna (Ellago Ediciones) e una in Giappone (Kashiwa Shobo), incentrato sull'eredità di Chernobyl.
Negli ultimi 4 anni ho concentrato la mia attenzione su alcune storie poco conosciute che si trovano nella zona di esclusione di Chernobyl. Più mi sono addentrato in quel luogo e più ho avuto modo di scoprire e approfondire storie particolari e sconosciute che per me meritavano una certa attenzione.
Frequentando la zona di esclusione di Chernobyl per così tanti anni, ho familiarizzato con molte persone che vivono lì, potendo instaurare dei veri rapporti di profonda amicizia, soprattutto con la mia guida, Yuriy Tatarchuck, che mi ha accompagnato per tanti anni, dal 2003 a oggi. Grazie a lui e alle persone del posto che ho incontrato, ho scoperto aspetti poco conosciuti della zona di esclusione di Chernobyl come gli stalker, gli ebrei hassidi, il riciclaggio dei metalli radioattivi, la vita nella città di Chernobyl e arricchendo la mia conoscenza di aspetti raramente o mai raccontati.
Così ho iniziato un nuovo progetto fotografico su Chernobyl durato sei anni dal 2014 al 2019, diviso in nove capitoli e intitolato Chernobyl che sta vedendo la luce come libro grazie alla raccolta fondi lanciata su kickstarter.
Per quanto riguarda poi il nucleare, in generale ho documentato in seguito anche l’incidente di Fukushima, quello quasi sconosciuto di Mayak in Russia e il poligono dei test nucleari sovietici di Semipalatinsk, perchè negli anni ho scoperto che dietro il nucleare c’è un mondo fatto di menzogne e interessi politici ed economici che vanno oltre qualsiasi interesse di sanità pubblica o salvaguardia delle persone e dell’ambiente. Il nucleare e i suoi incidenti probabilmente celano uno dei crimini più grossi commessi contro l’umanità.
Le conseguenze e le probabilità di incidenti legati all'utilizzo di questo tipo di tecnologie si conoscevano fin dall’inizio dell’era nucleare e chi ha sviluppato il nucleare civile lo ha fatto solo per interessi militari (produzione di armamenti atomici) sapendo benissimo che cosa poteva succedere e quindi quali avrebbero potuto essere le eventuali conseguenze.
Quindi quando parliamo degli incidenti nucleari mi è difficile ridurre il tutto ad un errore umano perché le cause principali sono a monte e hanno responsabili ben precisi come l’AIEA, l’agenzia internazionale dell’energia atomica, e tutta la classe politica che ha dato il via allo sviluppo del nucleare civile e che ancora oggi ne promuove l'utilizzo.
CFFC - Osservando le immagini presenti nell'anteprima del tuo libro ci è sembrato che i trait d’union delle storie che lo compongono siano rappresentati dal concetto di tempo e dalla presenza invisibile, ma costante, della radioattività. È corretto pensare che siano questi i comuni denominatori delle storie che racconti?
P.M. - Sicuramente nel lavoro di Chernobyl il concetto di tempo e radioattività si sovrappongono in un unicum, basti pensare che la radioattività sparirà dalle terre contaminate in circa 200 mila anni, quindi un concetto di tempo al di fuori di ogni nostra umana concenzione. Chernobyl non è passato, Chernobyl non è storia, Chernobyl è appena iniziata. Per questo rappresenta una storia importante, perchè è un po' come se sia destinata a non avere mai fine, se ovviamente la si confronta con la scala temporale e relativa percezione del tempo di noi umani, che viviamo in media 70-80 anni.
Chernobyl quindi tutt’oggi è un problema enorme e continuerà ad esserlo a causa dell'attività degli elementi radioattivi dispersi dall’incidente per questo lasso di tempo enorme. Per questo motivo non credo si possa mai parlare di passato in un incidente nucleare, anche considerando le conseguenze che porta con sé, come l'aumento spaventoso di patologie correlate alle radiazioni e le centinaia di migliaia di morti. La fotografia in questo caso racconta una piccola parte di questo tempo quasi infinito, congela un momento che si ripeterà per altri 200 mila anni. In ogni immagine si fondono passato, presente e futuro.
L'intervista prosegue dopo la photogallery
CFFC - Nel libro illustri storie di persone che vivono ancora immerse nelle radiazioni, cosa pensi le spinga a rimanere?
P.M. - Purtroppo la maggior parte delle persone continua a vivere nelle terre contaminate perchè non ha altra scelta: sono famiglie povere che non hanno possibilità di trasferirsi altrove. Poi ci sono alcune persone come i samosely, gli anziani che sono tornati a vivere nei villaggi all’interno della zona di esclusione di Chernobyl perchè troppo legati alla loro terra e alle loro origini.
CFFC - CFFC - Tra queste vicende incredibili che racconti ce n'è qualcuna a cui tieni particolarmente? E perché?
P.M. - Ci sono molte storie alle quali sono legato, come i bambini che ho fotografato negli ospedali di Kyev e che soffrono delle conseguenze di Chernobyl: storie strazianti perchè i bambini non hanno colpa di nulla ma subiscono tutto. O le storie degli anziani di Chernobyl che sono rientrati a vivere nelle loro terre, persone che ho conosciuto e frequentato per molti anni, ma molti di loro oggi non ci sono più, deceduti nel tempo.
Conservo il ricordo della loro grande ospitalità e generosità nei miei confronti e anche per questo vorrei che il libro venisse pubblicato perchè le loro fotografie rimangono l’unico ricordo della loro vita. Sono storie legate sempre ai più deboli, alle persone che subiscono di più e che non hanno voce e io spero con questo libro di poter rimediare almeno parzialmente restituendo a loro e alle loro storie la dignità che meritano. Almeno nel ricordo.
CFFC - Spesso nel libro viene citata la città fantasma di Pripyat che assume i connotati sia di un luogo di culto e meta di pellegrinaggio, che di un luogo di svago e avventura. Come pensi sia possibile la convivenza di questi due spiriti nello stesso luogo?
P.M. - La città di Pripyat è diventata famosa negli anni perchè è diventata la più grande città abbandonata al mondo: un centro urbano popolato da circa 50 mila abitanti, i quali dovettero lasciare tutto nel giro di un giorno. Il suo fascino calamita quindi l’attenzione delle persone proprio perchè la vita lì dentro si è fermata il 26 aprile 1986 e tutto è rimasto congelato come al tempo.
Fare un viaggio a Pripyat significa fare un viaggio nel tempo perchè tutto si è fermato nell’epoca sovietica, gli oggetti, i libri, le riviste, tutto appartiene al quell’epoca. E' un tuffo nella storia sovietica oltre che nella storia del più grande incidente nucleare mai verificatosi.
Per questo da quando il governo ucraino nel 2011 ha aperto le porte della zona al turismo più di 60 mila persone all’anno entrano nella zona per visitarla con le visite guidate.
Poi nel frattempo è nato il fenomeno degli stalker: giovani ucraini che hanno iniziato a entrare illegalmente nella Zona di Esclusione. Questi ragazzi sono per lo più trentenni (o anche più giovani) e rappresentano l'ultima generazione di Chernobyl.
Vengono chiamati "Stalker", nome che deriva da un libro di epoca sovietica dei fratelli Strugatzki, Arcadi e Boris, intitolato "Picnic sul ciglio della strada", scritto nel 1971 e diventato una premonizione. Il libro parla infatti di avventurieri, chiamati stalker, che vivono in una piccola città dell'ex Unione Sovietica, situata ai confini di una zona di esclusione, contaminata dalle radiazioni.
Questi stalker si recano illegalmente nella zona alla ricerca di tesori da rivendere, rischiando la vita. Da questo libro Andrei Tarkovsky ha tratto un film nel 1979, "Stalker", un vero capolavoro del cinema mondiale. Dopo 15 anni dall'uscita di quel libro, il 26 aprile 1986, si verificò l'incidente nucleare di Chernobyl.
Gli Stalker di "Chernobyl" hanno sviluppato una vera e propria venerazione per questa specifica area, che considerano come una loro casa privata post-atomica. Sembrano essere organizzati in gruppi paramilitari con nomi, simboli e rituali, mentre si godono un viaggio pericoloso per raggiungere la loro destinazione finale: la città fantasma di Pripyat.
Per arrivarci devono percorrere circa 60 chilometri attraverso i boschi - per lo più di notte per evitare il pattugliamento della polizia - tra radiazioni nucleari e animali selvatici. Durante il viaggio dormono solitamente in villaggi abbandonati, mangiano cibo in scatola e bevono l'acqua che trovano lungo il percorso, sporca e contaminata.
Dicono di voler vivere un'avventura diversa, di volersi mettere alla prova e di sentirsi gli ultimi sopravvissuti sul pianeta, proprio come in un vero videogioco; vogliono liberarsi dalla routine e dalla vita normale, divertendosi e restando isolati in un limbo senza regole per un po'.
Sono una sorta di viaggiatori post-romantici, innamorati di questi luoghi che considerano quasi sacri, permeati di una storia tragica da non dimenticare. E diciamo che è il sentimento del dover ricordare, del non dover dimenticare, che spesso muove le persone verso questa zona, oltre a motivare ovviamente curiosi di ogni tipo.
Ma con l'inizio dell'invasione russa il 24 febbraio 2022, proprio attraverso la zona di esclusione di Chernobyl, tutto è cambiato per l'Ucraina e anche per la zona di esclusione. Il movimento degli stalker è finito, non c'è più turismo e molto probabilmente non esisterà più in futuro dopo la fine della guerra, perché l'intera zona è stata minata per prevenire una nuova invasione russa. E sicuramente nessuno è interessato a smantellare un luogo perso per sempre a causa delle radiazioni.
Gli ebrei hassidici non possono più andare in pellegrinaggio alle tombe dei fondatori della loro religione e hanno perso le loro radici. I pochi anziani che ancora vivono nei villaggi abbandonati della zona di esclusione hanno dovuto spostarsi, alcuni sono stati deportati dai russi in Russia e Bielorussia, altri resistono e vivono completamente isolati, contando sulle poche forze rimaste e sugli aiuti umanitari che arrivano di tanto in tanto.
Si comprende forse meglio, dopo questo racconto, quanto la pubblicazione di questo libro sia importante, perché documenta storie che non esistono più e io, alcune di queste, sono stato il primo e l’ultimo a raccontarle.
CFFC - Le immagini presenti nel libro sono frutto dei tanti anni che hai dedicato a raccontare la tematica del nucleare e le sue conseguenze. Perché fare ora un libro? Senti di aver affrontato la totalità del tema?
P.M. - E' difficile definire quanto una tematica possa essere stata esplorata del tutto, soprattutto una storia infinita come quella di Chernobyl. Avevo già pubblicato un libro su Chernobyl stessa nel 2007, frutto di cinque anni di lavoro allora, dal 2002 al 2007, intitolato "Chernobyl the hidden legacy". Il libro è stato edito in 3 edizioni: una in Gran Bretagna (Trolley Books), una in Spagna (Ellago Ediciones) e una in Giappone (Kashiwa Shobo), ed era incentrato sull'eredità di Chernobyl. Si trattava chiaramente solo di una parte della storia, una tappa del percorso che ho poi continuato a seguire.
Questo secondo libro racchiude la seconda parte della storia, non certo la fine. E poi considero per un fotografo la pubblicazione di un libro la parte fondamentale del lavoro, perchè garantisce meglio di altri canali che la storia duri nel tempo, preservando la memoria delle nostre storie e soprattutto quella delle vite che abbiamo raccontato.
CFFC - Tenendo conto dell’attualità del dibattito sul nucleare nel nostro paese, pensi che questo tuo lavoro possa o sia stato anche realizzato per sensibilizzare le persone sui rischi connessi a questa fonte energetica?
P.M. - Lo spero proprio. Come detto in precedenza dietro il nucleare ci sono menzogne totali sulla sua sicurezza e oltre che sulla sua presunta economicità: il tutto per salvaguardare interessi politici ed economici di grossi poteri a livello mondiale. Mi auguro quindi che il mio lavoro aiuti le persone a comprendere che il nucleare è una grande menzogna ed è uno dei pericoli maggiorni per l’ambiente e l’umanità stessa.
CFFC - Visto che sono anni ormai che lavori a livello professionale anche con i video, per questo progetto oltre alle fotografie hai realizzato anche delle riprese video,? Se sì, che destinazione avranno?
P.M. - In questi anni di lavoro ho sempre collaborato con il mio amico e collega videomaker Alessandro Tesei. Insieme abbiamo realizzato diversi servizi video pubblicati da testate importanti come Internazionale, RSI Tv svizzera e Inside Over, ma soprattutto un documentario The Zone, road to Chernobyl sugli stalker in catalogo su Amazon Prime Video
CFFC - Oltre all’imponente lavoro su Chernobyl, negli anni hai realizzato anche lavori sul Covid19 in Italia, come anche sulla Cina, Islanda e Thailandia. Eppure sei noto come il fotografo del nucleare, da cosa pensi dipenda?
P.M. - Credo dipenda unicamente dal fatto che è una tematica che ho approfondito molto in 20 anni di lavoro per cui sono “specializzato” in questa materia e considerato ormai un esperto del campo.
CFFC - Dopo questa esperienza che sembra totalizzante rispetto al lavoro su Chernobyl, a quali altri progetti stai lavorando o intendi dedicarti?
P.M. - Adesso sto lavorando alle conseguenze della guerra in Ucraina: dopo essere stato lì a fine 2022 torneremo quest’anno per continuare con il nostro progetto a lungo termine per raccontare la vita delle persone in una guerra assurda in mezzo all’Europa.
CFFC - Ringraziamo Pierpaolo Mittica per la disponibilità, i tanti consigli per approfondire il tema e le splendide foto, parte del libro che speriamo riuscirà a pubblicare
A tal proposito riportiamo anche qui il link al crowdfunding per consentirgli di mettere su carta quest'opera: Crowndfunding per Chernobyl