Angela Verdecchia
Grido di resistenza
Il 9 marzo 2024, sul palco della manifestazione per la pace tenutasi a Roma e indetta, tra gli altri, dalla CGIL, una giovane studentessa con il suo intervento ha dato un colpo di spugna all'ipocrisia e alla demagogia molto in voga da qualche tempo a questa parte.
Dopo il suo intervento l'abbiamo conosciuta nel backstage e abbiamo scoperto che dietro quella lucida rabbia c'era una ragazza marchigiana, da poco maggiorenne, catapultata davanti ad un'enorme platea di persone lasciate quasi attonite e poi entusiaste dalle sue parole.
Abbiamo quindi deciso che una giovane donna, studentessa, meritatasse ben più di qualche parola sul palco, seppure molto ben scritte e dette.
L'abbiamo quindi raggiunta a San Benedetto del Tronto, dove studia, per saperne di più su di lei e su come veda il mondo.
In questa intervista realizzata da Fabrizio Giansante e Flavia Todisco per noi, Angela Verdecchia, questo il suo nome, approfondisce molti dei temi accennati a Roma e ne aggiunge molti altri, aprendoci molteplici finestre su mondi che magari, essendo a noi prossimi, crediamo erroneamente di conoscere.
CFFC - Partiamo da dove ci siamo lasciati: Com'è stata la tua esperienza romana, cosa ti ha lasciato, come l'hai vissuta?
A.V. - Io ho 18 anni e faccio militanza da quando ne ho 14, quindi di manifestazioni ne ho fatte tantissime, però per me quella di sabato è stata una sorta di "prima volta", perché non avevo mai fatto qualcosa in cui ero tanto al centro dell'attenzione di così tante persone. Io qui a San Benedetto e ad Ascoli ho fatto discorsi da coordinatrice delle basi della provincia, però un conto è esporsi in una realtà del genere e un conto è esporsi a Roma.
E' stato una cosa talmente grande che ci ho messo un bel po' di ore per realizzare ciò che era successo. Che poi può sembrare infantile perché alla fine magari non sembra chissà cosa, ma io l'ho considerata proprio una prima volta, ingenuamente magari.
CFFC - Raccontaci di te, la politica com’è diventata parte del tuo impegno personale e collettivo?
A.V. - E' una domanda difficile, perchè credo di poter individuare tante radici nella mia vita che mi hanno portato a interessarmi a queste cose e sicuramente mi ritengo fortunata perché vivo in una condizione privilegiata, nel senso che ho una famiglia molto appassionata di politica soprattutto grazie a mio padre. In famiglia "vantiamo" tre sindaci di Ripatransone, che è il paesino dove vivo, inoltre mio nonno, che non c'è più, era professore di Storia e Filosofia ed appassionatissimo di politica e ci ha tenuto da sempre a trasmettermi sia questa passione che quella per la storia.
Sono passioni che sono state trasmesse prima a mio padre e poi a me e la cosa per la quale gli sono profondamente riconoscente è che nonostante avesse una visione un po' diversa dalla mia, così come mio padre, non l'hanno mai fatto pesare e non si sono mai imposti con il proprio pensiero e le proprie idee. Al contrario, mi hanno sempre lasciato uno spazio di movimento e di pensiero, per capire ciò che mi accadeva intorno e farmi una mia idea, anche lasciandomi la libertà di sbagliare, perchè no.
Quindi io sono sempre cresciuta circondata dalla politica. Tante volte magari si dice che a pranzo e cena non si parla di politica, mentre a casa dei miei nonni era routine parlarne. Questa cosa mi è servita perché fin dalle medie ho cominciato a farmi tante domande.
Poi circa un mese dopo aver cominciato le superiori ho conosciuto Francesca, che ora è una delle mie migliori amiche, la quale un bel giorno entrò nella mia aula durante la ricreazione, e dopo aver controllato se ci fossero professori ci disse: "Devo essere velocissima, perché se mi vedono mi fanno un culo tanto" e distribuì alcuni volantini. Mentre lo faceva aggiunse "Io faccio parte di questo sindacato studentesco che si chiama Robin Hood, parliamo di antifascismo, antimafia, ambientalismo e ci riuniamo al parco perchè non abbiamo uno spazio, però se volete venire è un posto tranquillo, siamo tutti amici e mi farebbe piacere". Le risposi di sì, ma che non avrei saputo come ricontattarla. Al che lei mi prese il telefono, cercò il suo account su instagram e lo seguì dal mio, aggiungendo poi "ti ricontatto io, non preoccuparti".
Da quel momento passò circa un mese di riflessione, per capire se si trattasse della situazione giusta per me e poi mi decisi a cominciare a frequentarli. Da lì in poi è stato un crescendo. Io ero in primo liceo: ai tempi non capivo granché di politica, ripetevo magari qualcosa sentita a casa, ma poi col tempo è diventata la mia passione più grande.
CFFC - Come viene trattato dal personale scolastico e dai docenti l’attivismo sociale e politico?
A.V. - Nella mia scuola purtroppo è visto in maniera piuttosto negativa: Robin Hood in generale e quello che faccio io. Ci sono poche eccezioni, magari tra i docenti un po' più giovani perché si sentono un po' più vicini alle nostre cause, le capiscono meglio, riescono ad immedesimarvisi. In generale però c'è proprio un clima di indifferenza e di timore di esporsi che poi porta quasi ad un'ostilità nei nostri confronti.
Si tratta di un atteggiamento che a cascata parte dall'amministrazione della scuola e passando per una parte del corpo docente ha effetti importanti sugli studenti.
Da questo clima scaturiscono indifferenza, negligenza e noncuranza. Le persone non si fanno domande e finiscono col non rendersi proprio conto di ciò che succede.
Tornando ai docenti che percepiamo più vicini: molti di loro sono sempre di zona, ma non proprio di San Benedetto, quindi probabilmente sentono meno questo clima intimidatorio che chi è del posto ben conosce. Ad ogni modo la giovane età rimane a mio parere il fattore determinante della maggiore comprensione delle nostre istanze.
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CFFC - All’interno del tuo microcosmo scolastico, quanta rilevanza e impatto effettivo ha l’attivismo politico e sociale? Quanto invece riscontri un disinteresse e, nel caso secondo te, a cosa è dovuto e come ci si può lavorare?
A.V. - Come dicevo prima, manca molta consapevolezza e manca l'interesse verso moltissimi temi. Noi tendenzialmente ci occupiamo con continuità di un ampio ventaglio di tematiche che ci stanno a cuore e se ci sono temi caldi in un particolare momento, in grado di coinvolgere gli studenti, allora si nota una maggiore sensibilità e un maggior interesse: altrimenti è estremamente difficile attirarne l'attenzione.
Se si parla di antifascismo e di 25 aprile a partecipare sono sempre i soliti pochi che sono interessati al tema. Se invece trattiamo problemi come il caro trasporti, che tocca quindi tutti gli studenti che si muovono coi mezzi pubblici, allora probabilmente l'attenzione sarà maggiore. La paura di questi ragazzi di avvicinarsi a queste tematiche rende però difficilissimo il lavoro di sensibilizzazione anche in questi casi.
C'è sicuramente un timore del giudizio degli adulti, soprattutto a scuola: conoscendo il clima che c'è, i giovani hanno paura che una qualsiasi presa di posizione possa danneggiare il loro percorso scolastico, quindi non è facile trovare giovani che se la sentano di essere parte attiva delle lotte. Magari c'è qualcuno che per un periodo si avvicina, però dopo un po' è facile che rinunci.
Le persone realmente interessate sono poche, ma fortunatamente valgono per molti.
CFFC - Secondo te quindi c'è un rischio reale nel condurre questo tipo di attività? Magari sui voti, sul tuo percorso scolastico, rendendo il tutto meno semplice rispetto a chi sceglie di tenere un profilo basso e meno "problematico".
A.V. - Sì perché purtroppo il giudizio non prevede una scissione tra il te persona e il te studente. Questo riguarda in particolar modo i professori. Una cosa che mi sembra assurda, perché mi aspetterei che persone adulte abbiano sviluppato col tempo una coscienza critica e invece a quanto pare non tutti acquisiscono questa facoltà.
Io personalmente non penso di risentirne in particolar modo nei voti delle verifiche, ma da quando sono diventata coordinatrice e quindi sono più esposta, mi sono accorta di quanto io venga percepita e a volte giudicata diversamente dai miei insegnanti, nonostante io a scuola non mi sia mai comportata diversamente nei loro riguardi. E' vero, mi espongo e ci tengo a dire ciò che penso, senza però tralasciare l'educazione e il dovuto rispetto della figura che ho davanti.
CFFC - In cosa si sostanzia l’azione dell’RSM (Rete Studenti Medi)? Qual è il tuo ruolo e raggio d’azione in esso?
A.V. - Io sono la coordinatrice provinciale di “Robin Hood” sezione RSM territoriale di San Benedetto del Tronto che esiste da 13 anni e di “La Fenice”, sezione di Ascoli riattivata da pochi mesi.
Siamo un sindacato studentesco e ci occupiamo di tutelare i diritti degli studenti. Ad esempio dovesse manifestarsi un qualsiasi problema all'interno di una scuola e uno studente non sapesse a chi rivolgersi, può rivolgersi a noi e ci attiviamo per parlare con chi di dovere: amministrazione dell’istituto o amministrazioni locali. Ci attiviamo inoltre attraverso comunicati stampa, indagini o sondaggi.
Siamo un’associazione che ha molti valori, che funge anche come spazio di aggregazione per i giovani, e che opera in ambito sociale e politico in un territorio dove realtà come queste, dedicate ai ragazzi, non esistono.
Ci riuniamo una volta a settimana e parliamo di politica interna ed estera, dibattiamo sul significato di ricorrenze e anniversari. In questo senso, credo che la nostra realtà sia molto preziosa perché i giovani non hanno modo e spazio per esprimersi, in generale e ancor di più in questa provincia.
Ciò è assurdo perché siamo la linfa vitale del nostro territorio e potremmo dare molto a questa zona, ma non ci viene dato modo di farlo. Cerchiamo di coniugare quindi riflessione politica ed azione per ottenere i migliori risultati possibili.
CFFC - Hai dedicato una buona parte del tuo discorso il 9/3 a Roma, a due temi fondamentali: lo stato di diritto nazionale e internazionale. Come vivi l’attacco a tutti questi pilastri scritti nella costituzione? Che timori hai per il futuro? Come pensi si possa migliorare la forma di dialogo tra istituzioni e studenti?
A.V. - Si parla spesso di quanto noi giovani siamo disinteressati, di quanto viviamo nel nostro mondo e viviamo di cose frivole. Questa è una generalizzazione abbastanza comune della maggior parte degli adulti ed è evidente.
Quando però facciamo presenti le nostre istanze o alcune problematiche non c’è nessuno disposto ad ascoltarci, comprese le istituzioni di tutti gli schieramenti politici, che si riempiono la bocca di paroloni quali intergenerazionalità e dialogo tra giovani ed anziani: finché è politicamente utile se ne parla, quando poi si tratta di passare alla concretezza il dialogo viene a mancare, la comunicazione è assente.
Noi, come sindacato studentesco, da sempre cerchiamo di avere un tavolo permanente con le istituzioni, con le quali discutere e far presenti le nostre proposte. A differenza di quanto molti credono non siamo solo qua ad esprimere sterili critiche: siamo propositivi ed abbiamo tante idee. Se però non hai un interlocutore disponibile e attento a chi puoi presentarle?
Sarebbe quindi fondamentale un tavolo di confronto permanente, non solo con noi, ma con ogni realtà studentesca che si faccia portavoce di ideali costituzionali. Ad oggi non c’è ed evidentemente non è nell’interesse dell'attuale classe dirigente
CFFC - Se potessi partecipare ad un tavolo di progettazione con le istituzioni, quali le priorità che gli sottoporresti?
A.V. - Mi concentrerei sul tema della salute mentale e del benessere psicologico, sul tema della scuola come posto attualmente non sicuro. Sono temi che mi stanno molto a cuore. Specialmente sul valore dello studio, di come uno studente vive l’andare a scuola. Nella maggior parte dei casi si tratta di un peso, quasi mai come un piacere.
Studiare è uno dei diritti più importanti che abbiamo, non è scontato e sarebbe opportuno renderci conto di come sia bello e di quanto ci aiuti a comprendere quello che accade attorno a noi. Ci viene invece propinato come un obbligo, un meccanismo utile solo a fare di noi individui utili alla società attraverso il nostro impiego nel sistema produttivo. Sarebbe importante chiarire che noi giovani non siamo solo i voti che ci vengono dati, ma molto di più, che la nostra vita è anche altro e che la scuola dovrebbe aiutarci a coltivare queste altre cose che poi formano un'individualità critica e pensante.
Anche i PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento), rappresentano un altro tema fondamentale da dibattere: li reputo una delle cose più insensate al momento.
Poco distante da qua, due anni fa, è morto un ragazzo di sedici anni durante un PCTO. È stato un evento che mi ha scosso profondamente, perché mi ha fatto capire quanto è profondo il problema dell’industrializzazione delle scuole: ormai viviamo il mondo dell’istruzione come un’azienda.
Siamo dei lavoratori che devono fare il più possibile, nel minor tempo possibile al meglio delle proprie possibilità e puntando all’eccellenza. L'errore, il fallimento, non sono contemplati e quindi gestiti come dovrebbero.
Si arriva al punto che un 2 in matematica ed una nota portano qualcuno a buttarsi dal terzo piano del liceo, come è successo due settimane fa ad Ancona, ad un quattordicenne. Un bambino praticamente.
Tutto ciò non può e non deve essere normale, però fa parte di un retaggio culturale, corrotto e capitalista che ci portiamo dietro ormai da secoli.
CFFC - Come percepisci oggi il diritto allo studio? Al libero pensiero (nel rispetto della dignità del prossimo) e il diritto a manifestare (Art 21 della costituzione)? Quali minacce vedi? Di cosa ci sarebbe bisogno?
A.V. - Al momento credo che il diritto allo studio sia una delle cose più in pericolo nel nostro paese, perché è propedeutico al diritto di espressione, che è sacro ed inviolabile. Ho paura, perché percepisco che stiamo andando verso una sorta buco nero, ma siamo ancora in tempo per cambiare rotta.
Se io, fresca maggiorenne, non mi concentrassi sulle idee e proposte per un cambiamento, chi dovrebbe farlo? E allo stesso tempo, se mi/ci zittiscono, ho il dovere di alzare di più la voce perché qualcuno ci ascolti. E questo lo ripeto spesso anche ai miei compagni, specialmente nei momenti di scoramento nei quali magari non abbiamo il conforto dei numeri.
Anche se pensiamo di essere pochi possiamo comunque aprire gli occhi ad una sola persona, che a sua volta magari ci darà una mano a fare altrettanto. Così facendo piano piano le cose possono cambiare. Si, siamo in pericolo, così come lo sono il nostro diritto ad autodeterminarci e la nostra libertà.
CFFC - Cosa pensi della posizione del governo italiano rispetto alla guerra palestinese, trovi coerenza rispetto l’art 11 della costituzione o le radici della resistenza italiana? Ti senti rappresentata dalle scelte del governo italiano?
A.V. - Credo che l'attuale situazione in Palestina sia degenerata talmente tanto che non sarà facile trovare una soluzione che metta d’accordo entrambi. Anche perché non penso che sia questa la strada. Stiamo parlando di un popolo privato del diritto più banale e fondamentale allo stesso tempo, che è quello di autodeterminarsi e poter essere se stesso, quindi diverso dal popolo israeliano.
Noi, come Paese, dovremmo conoscere estremamente bene il significato di una lotta per l'autodeterminazione, per la propria libertà. Abbiamo combattuto dal '43 al '45 per questo, sono morte decine di migliaia di persone, abbiamo rischiato il collasso della società. Eppure adesso ci giriamo dall’altra parte, facciamo finta di nulla, se non ripetere demagogicamente frasi come “viva la pace”, "abbassate le armi" “cessate il fuoco”; non basta e non è sufficiente per cambiare le cose, per mettere fine a questa situazione che è assurda e disumana.
Il governo italiano non sta facendo nulla, ha le mani sporche di sangue e indirettamente si sta macchiando dei peggiori crimini di guerra, perché quando non prendi posizione e non fai nulla per cambiare le cose sei responsabile tanto quanto il soldato che spara al bambino palestinese.
Io non so cosa farei, non ho alcuna conoscenza diplomatica, ma credo che chi si trova nella posizione di poterle esercitare debba farlo per far sì che il popolo palestinese acquisisca la libertà di autodeterminarsi, a riavere la propria terra e allo stesso tempo che si liberi dal giogo di potenze neocolonialiste e oppressive, come gli Stati Uniti ed Israele.
CFFC - Da giovane donna, quale pensi sia il ruolo delle donne nella società italiana ad oggi e quale direzione o spinta il nostro paese dovrebbe perseguire?
A.V. - E' una domanda per me piuttosto difficile, perché sento il peso di parlare per tutte le mie sorelle. Il transfemminismo è una delle tematiche che mi sta più a cuore da sempre. Nonostante i passi avanti fatti, è evidente che ciò che viviamo oggi è frutto di secoli e millenni in cui la donna ha vissuto in uno stato di subordinazione rispetto all’uomo.
Subiamo il retaggio culturale di una società patriarcale, che vede la donna su un gradino più basso rispetto agli altri. I tempi sono cambiati e non dobbiamo lottare solo per le rivendicazioni del genere femminile, ma dobbiamo puntare a rendere questa lotta intersezionale, perché le lotte, se pensate a compartimenti stagni, non possono riuscire nei loro intenti. Magari c'è anche un momento in cui raggiungono un picco di interesse e di partecipazione, ma finiscono con l'affievolirsi e lo scemare, perchè non si rigenerano.
È importante, ripeto, che sia una lotta intersezionale: il transfemminismo può rappresentare uno spunto per tante altre istanze. Investire sul cambiamento dell’impostazione della nostra società o sull’idea intrinseca in noi è fondamentale per arrivare ad avere la piena consapevolezza che ciò che vediamo non sia normale e che ci sia la possibilità e la necessità di avviare e completare un cambiamento.
Il problema della donna è quindi sistemico, che ha derivazioni e connessioni con altre cose che non si possono trascurare.