Federico Monica
Qatar 2022: mondiale a tutti i costi
Facciamo fatica a ricordare un'edizione del mondiale di calcio più discussa, criticata, controversa, quasi paradossale. Presentato, tra le altre cose, come un evento a emissioni zero, a quanto pare è risultato essere ben distante dai proclami delle istituzioni qatariote e calcistiche.
Uno degli studi più interessanti sull’argomento è stato realizzato da un gruppo di lavoro italiano, del quale fa parte Federico Monica.
Architetto e urbanista, specializzato nell’analisi dei contesti urbani in Africa sub-sahariana e nella definizione di progetti e programmi per il recupero e l’upgrading di slum e quartieri informali, Federico si occupa inoltre di processi di autocostruzione e materiali alternativi e di recupero. È il fondatore di Placemarks, un progetto di ricerca specializzato nell’analisi di immagini aeree e satellitari per indagare temi e dinamiche ambientali, sociali e umanitarie nel continente africano.
CFFC - Ciao Federico, per iniziare vorremmo sapere qualcosa di più sulla genesi di questo progetto. Sappiamo che la tua principale area di interesse è localizzata nell’Africa Sub-sahariana: cosa ti ha spinto al di fuori di questa e perché?
F.M. - La visione dall’alto permette meglio di ogni altra di decifrare l’entità degli impatti di grandi opere sul territorio. In questo senso le immagini satellitari possono diventare veri e propri strumenti di inchiesta per scoprire quello che succede in determinati angoli di mondo. Lo facciamo abitualmente in Africa e di recente insieme a Michele Luppi, giornalista e membro di Placemarks, abbiamo deciso di ampliare lo sguardo su altre zone “calde” del pianeta. In questo caso l’aver letto la dichiarazione della FIFA che indicava il mondiale in Qatar come a impatto ambientale zero ci ha indotto a “uscire dall’Africa” e guardare più in profondità questo angolo di mondo.
È nata così l’inchiesta pubblicata da Irpi media e firmata da Lorenzo Bodrero e Michele Luppi che potete leggere qui
Non resterà un caso isolato: le tematiche e le emergenze ambientali sono tantissime e le immagini satellitari possono davvero fare la differenza nello scoprire luoghi, raccogliere dati, elaborarli e arrivare a dimostrare o smentire tesi.
CFFC - Grazie agli scatti satellitari si percepisce l’entità dei lavori per la realizzazione degli 8 stadi per i mondiali. Da un punto di vista architettonico, come e quanto le presunte strategie di sostenibilità applicate a queste opere cementizie divergono dal 13esimo obiettivo dell’agenda 2030?
F.M. - Credo che le immagini dall’alto siano abbastanza eloquenti, confermando il discorso generale su cui si basa il progetto Placemarks: con un punto di vista “tradizionale” la tendenza è concentrarsi sulle architetture, oggetti che sicuramente colpiscono l’immaginario grazie alle loro forme affascinanti e innovative. Intorno a queste “sculture” però lo spreco di suolo per opere accessorie, infrastrutture e parcheggi è impressionante e spesso impossibile da percepire da terra.
Allo stesso modo la narrazione delle grandi opere si concentra spesso sull’utilizzo di materiali o tecnologie ultramoderni e, almeno sulla carta, sostenibili, togliendo l’attenzione dagli enormi impatti generati dalla costruzione e dalla gestione. basti pensare che tutti gli stadi sono condizionati e questo ha richiesto di costruire enormi centrali di raffreddamento dell’aria di fianco a ogni impianto. Alcune di queste sono grandi quanto un campo da calcio.
Infine c’è un grandissimo tema di utilità degli impianti realizzati: otto stadi con una capienza fra i 40 e gli 85 mila posti in un paese con meno di tre milioni di abitanti, in cui il calcio non sembra essere lo sport nazionale e che, a quanto pare, fatica a riempirli anche in occasione della coppa del mondo. Tutti questi sono costruiti in un raggio appena più grande dell’area metropolitana di Roma; che fine faranno dopo dicembre? Uno stadio è stato pensato per essere smantellato completamente, altri per essere ridotti in capienza, ma per il resto è il caso di scomodare il classico esempio delle cattedrali nel deserto.
È vero che in occasione del mondiale è stato realizzato un grande impianto fotovoltaico da 800 MW ma se pensiamo all’entità degli impatti per la costruzione delle infrastrutture per il torneo, le risorse non rinnovabili utilizzate e il consumo di suolo che abbiamo calcolato essere pari a 1140 campi da calcio ci rendiamo conto di quanto gli obiettivi dell’agenda 2030 siano rimasti lettera morta. Non soltanto per quanto riguarda gli obiettivi ambientali ma anche dal punto di vista sociale: dalle immagini siamo riusciti anche a mappare i campi per i lavoratori spesso stranieri che in condizioni al limite dello sfruttamento hanno costruito stadi e strade; quasi tutti sono stati sgomberati e distrutti negli ultimi mesi.
CFFC - Tra gli scatti realizzati, quello raffigurante le centrali di dissalazione sposta l’attenzione anche su opere diverse dagli stadi. Quanto un evento del genere aumenta, dal tuo punto di vista, il già ingente impatto inquinante di questi impianti?
F.M. - Sugli impianti di dissalazione il dibattito è serrato: molti vedono in queste tecnologie la soluzione ai problemi di siccità che affliggono diverse zone del mondo ma gli impatti sono elevatissimi. Energetici innanzitutto: osservando bene l’immagine si nota la quantità di ciminiere della centrale necessaria al funzionamento del dissalatore; alcuni studi stimano che servano svariate migliaia di barili di petrolio al giorno per alimentare questi impianti.
C’è poi il discorso degli scarti di queste centrali, sostanze chimiche e salamoia che vengono rilasciati in mare danneggiando fortemente gli ecosistemi.
In periodi normali il Qatar ottiene oltre il 60% dell’acqua dolce dagli impianti di dissalazione, e va considerato che stiamo parlando di un paese con uno dei più alti consumi pro-capite di acqua del pianeta, 557 litri al giorno per persona; in Italia pur essendo i peggiori d’Europa ne usiamo meno della metà. È facile ipotizzare che durante il torneo queste cifre siano aumentate a dismisura, sia per i servizi alle centinaia di migliaia di tifosi, sia per irrigare le decine di campi da calcio e da allenamento o i parchi e le aiuole creati per abbellire la città.
L'intervista prosegue dopo la photogallery
CFFC - I prossimi mondiali sono stati assegnati ad un trittico di nazioni: Canada, Stati Uniti e Messico, dividendo di fatto l’onere organizzativo. Pensi che questa scelta nasca anche dalla necessità di consentire una gestione più sostenibile degli spazi e delle risorse?
F.M. - No, non credo. Anche perché uno dei motivi addotti dalla Fifa e dal Qatar riguardo la sostenibilità di questo torneo era proprio la vicinanza degli otto stadi, tutti realizzati in un raggio di meno di 50 km, e di conseguenza la possibilità di evitare completamente spostamenti per via aerea.
Sappiamo che quello del trasporto aereo è uno dei settori più inquinanti per le emissioni in atmosfera e allargare così tanto un campionato genererà impatti enormi con migliaia di voli per spostare tifosi e squadre da una parte all’altra del continente.
Da un lato è vero che gli impianti sportivi potranno essere programmati in città in cui saranno verosimilmente utilizzati anche dopo l’evento, dall’altro la distanza fra le location renderà insostenibili gli impatti della logistica.
Si passa da un campionato in un paese grande meno delle Marche a uno spalmato su un intero continente; paradossalmente si tratterà di un torneo altrettanto insostenibile ma per motivazioni opposte.
CFFC - Parliamo di un evento, il cui giro d’affari ingolosisce tutti gli attori coinvolti, tanto da far chiudere diversi occhi rispetto ad alcune scelte. Secondo la tua esperienza, è possibile coniugare gli interessi economici e ambientali?
F.M. - Se si parla di economia in generale credo possa essere possibile: il cambio di abitudini che ad esempio le nuove generazioni sentono in maniera molto più forte di noi sta già portando diverse grandi imprese a riformulare prodotti, offerte e soluzioni, e non sempre si tratta di mero greenwashing.
Se invece parliamo di interessi legati a questi grandi eventi credo che sia estremamente difficile raggiungere una sostenibilità ambientale. Il concetto di grande evento in sé richiede spostamenti di persone, grandissimi flussi di merci, costruzione di infrastrutture anche temporanee e più in generale situazioni straordinarie che facilmente fanno “saltare” buone pratiche già in uso.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali è ben difficile che la priorità nell’organizzazione di un grande evento sia la sostenibilità ambientale, certo può essere un tema più o meno sentito ma non il focus principale. E la scelta di location “assurde” come il Qatar lo dimostra. Va aggiunto che queste scelte rischiano poi di diventare dei pericolosi precedenti, basti pensare che l’Arabia Saudita si è da poco aggiudicata l’organizzazione dei giochi invernali asiatici del 2029. Sci, Hockey e bob nel deserto.
CFFC - Esistono esempi virtuosi di progettazione di grandi opere architettoniche da utilizzare come riferimenti a cui ispirarsi?
F.M. - Difficile fare esempi: esistono sicuramente architetti più o meno attenti a questi temi (e quasi sempre i più attenti non sono fra le archistar più conosciute), così come esistono opere più o meno basate su criteri virtuosi. L’errore comune è pensare che possano esistere soluzioni o tecnologie risolutive e replicabili ovunque: nuvole, boschi verticali, grafene o stampanti 3d funzionano molto bene da un punto di vista comunicativo ma sono spesso soltanto belle immagini se non deliberati specchietti per le allodole.
Quello che a mio parere fa la differenza nel concepire un’opera è il suo rapporto virtuoso con il contesto locale: con il clima specifico, l’orientamento rispetto al sole e al vento, la vegetazione, i materiali locali.
Questo ben più che chissà quali tecnologie o innovazioni è ciò che fa la differenza, e spesso è ciò che distingue un edificio qualsiasi da una grande architettura, che dev’essere un “pezzo unico” pensato e sviluppato per un luogo specifico e non replicabile indifferentemente a Tokyo, a New York o a Doha.
CFFC - Ti ringraziamo per la disponibilità e per questo approfondimento su una tematica apparentemente laterale di questi mondiali, ma, al contrario, assolutamente centrale
F.M. - Grazie a voi.
Se siete curiosi di approfondire ulteriormente il lavoro di Federico Monica e di Placemarks potete seguirli su Instagram, su Facebook, oppure potete visitare il loro sito internet placemarks-africa.org/.